Blonde Redhead – Barragan (Recensione)

Blonde Redhead – Barragan (Recensione)

2017-11-08T17:15:46+00:0016 Ottobre 2014|


Blonde Redhead Barragan
Con il suo nono album, il trio newyorchese continua sulla strada di un dream pop fatto di sonorita' rarefatte e malinconiche, sempre piu' lontane dal noise degli esordi.

7/10


Uscita: 2 settembre 2014
Kobalt Music Group
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Rimane l'Italia nelle stanze della memoria dei fratelli Pace e della giapponese Kazu Makino: il nuovo album dei Blonde Redhead Barragán è stato ideato in Piemonte, ad Alba, con più di qualche nostalgia per quando Amedeo e Simone Pace lasciarono da bambini Milano per trasferirsi in America, in una poetica del ritorno rintracciabile anche nelle loro scelte sonore. Una bellezza misteriosa e malinconica; un richiamo a fantasmi interiori che non scompaiono ma che si materializzano davanti agli occhi di un sonnambulo che accoglie il pulviscolo del sole da una finestra appena socchiusa: Barragán, in uscita a quattro anni dal precedente Penny Sparkle, torna a imprimere la sua testimonianza e a consolidare un legame ormai ventennale, quello tra il trio newyorchese e il suo fedele pubblico.

L’album omaggia l’opera intellettuale dell’architetto messicano Luis Barragàn, che influenzato dalla “Nuova Oggettività” rintracciava nell’architettura popolare messicana gli elementi di una convivenza silenziosa e suggestiva basata su policromia e assemblaggio dei materiali. Sulla scia del devoto Barragán ecco quindi apparire un elemento mistico anche nella musica dei Blonde Redhead, attraverso un utilizzo dell’elettronica che affievolisce i bassi e le poche chitarre per armonizzare con i testi, un cambiamento di intenti su riflessioni dell’animo, desiderose di un’evoluzione esistenziale. La title-track è identificabile con grandi distese desertiche, silenzi profondi, spazi immensi che si aprono di fronte a esseri umani inclini alla malinconia; Lady M, invece, si ispira alla musica spumeggiante degli esordi, ma sottolinea un’attitudine lo-fi per un dream pop dalle melodie tanto semplici quanto accattivanti: distorsioni leggere, attitudine twee, canto caldo e confidenziale.

Si arriva così al singolo Dripping e alla sua concezione leggera e leggiadra della vita: "In your eyes and in your mind I see change, it's a shame. Close your eyes, stalling the walk, you're alive, it's the same". Niente drammi: il dolore, la malinconia sono avvolte da un’aura dolce, primaverile, che stempera i sentimenti spiacevoli. Cat on Tin Roof, di presa immediata e facile comprensione, mette in scena un pop sbarazzino, ma forse troppo giovanile. The One I Love invece diffonde una sonorità soffusa e sognante che delimita uno spazio espressivo dominato dal magnetismo dei diversi elementi, capaci di attrarsi tra loro in un leggero movimento. Con No More Honey i toni si fanno più malinconici e intimi, avvolti in un torpore di suoni che contrastano tra loro in un circuito di echi e drappeggi sonori. Infine Mind to Be Had rincorre un tempo che sembra incalzare l'ascoltatore, ma si imbatte infine nella voce di Amedeo Pace, in una progressione persuasiva ma incompleta.

Giunti al loro nono album, i Blonde Redhead, ormai lontani dagli esordi noise-rock di La Mia Vita Violenta si rifugiano in un romanticismo ammiccante che riesce a comunicare con il loro passato, in un discorso anacronistico in certi punti, ma che li lascia per il momento senza un'etichetta e una facile definizione. Non sono molti i gruppi che dopo vent'anni di carriera riescono a rimanere un enigma per gli ascoltatori, ma l'indefinibilità delle loro scelte sonore è un'arma a doppio taglio: se da un lato infatti c'è il rischio di una certa inconsistenza nelle loro delicate armonie, è da ammirare la capacità di mettersi continuamente in gioco e di giocare con le aspettative dei fan, che ormai alla domanda "Come suonano i Blonde Redhead?" possono rispondere solo "Suonano come i Blonde Redhead".