Death Cab for Cutie – Kintsugi (Recensione)

Death Cab for Cutie – Kintsugi (Recensione)

2017-11-08T17:15:45+00:003 Agosto 2015|


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Ben Gibbard racconta il cambiamento, e tra distanze e lontananze cerca di rimettere insieme i pezzi di cio' che resta della sua band e della sua vita.

6/10


Uscita: 31 marzo 2015
Atlantic Records
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Kintsugi è l’ultimo album targato Death Cab For Cutie, a quattro anni di distanza dal poco fortunato Codes and Keys, che non aveva raccolto il favore del pubblico e della critica. L’album arriva in un momento particolarmente delicato per la band e soprattutto per il frontman Ben Gibbard, come dimostrato dal titolo scelto per il disco: il termine “Kintsugi” si riferisce infatti all’antichissima pratica giapponese che prevede la riparazione dei vasi in ceramica attraverso l’utilizzo di metalli preziosi, per evidenziare e valorizzare le crepe formatesi dopo la rottura, così da farle diventare la rappresentazione di un qualcosa di significativo e definitivo.

Nella scelta di questo titolo sicuramente Gibbard si è lasciato influenzare dagli eventi che dal 2012 hanno letteralmente sconvolto la sua vita: da una parte la separazione dalla moglie, l'attrice e cantante Zooey Deschanel, e dall’altra l’allontanamento dal gruppo del chitarrista-produttore Chris Walla, che lasciando la band ha sancito una separazione che si percepiva già da tempo. L’album è infatti ricco di tematiche che si riferiscono al distacco e alla distanza: nella maggior parte delle liriche si avverte un velato senso di nostalgia che fa pensare al difficile percorso di cambiamento di intrapreso dal leader. I testi si concentrano spesso sulla difficoltà di superare le distanze, di abbattere le difficoltà generate dalle incomprensioni per cercare nella semplicità di alcuni semplici gesti una risposta ai fraintendimenti.

In apertura No Room in Frame sottolinea la difficoltà di riuscire a rimanere in due nella stessa “inquadratura”, di riuscire a vivere serenamente. È un chiaro riferimento all’incapacità di comprendersi e alla fatica del costruire insieme un sentimento condiviso, in un brano riflessivo che riesce a combinare un testo carico di introspezione a un arrangiamento coinvolgente e dalle tonalità maggiori. Rispetto all’album precedente, in questo Kintsugi si avverte un ritorno massiccio delle sonorità che hanno caratterizzato la band nel corso della sua lunga storia: Gibbard e compagni abbandonano quasi completamente l’elettronica per ritornare verso un uso più significativo dei riff di chitarra, che diventano il tratto principale di tutti i brani.

Ottimo esempio di questo “ritorno alle origini” è Little Wanderer, sicuramente uno dei brani più intensi di tutto l’album. Una canzone che racconta ancora una volta la lontananza, fisica e mentale, parlando di viaggi, di abbracci scambiati nei terminal degli aeroporti, in una fretta che lascia intatti i sentimenti. La voce di Gibbard è protagonista indiscussa nell’arrangiamento, che in questo caso strizza l’occhio a sonorità "adulte" che ricordano i New Order e anche gli U2. Un po’ sottotono invece i due brani che segnano la metà della tracklist: You Have Haunted Me All My Life e Hold No Guns sono ballate acustiche che oltre all’intensità dei testi non comunicano molto musicalmente.

L’album comunque scorre molto piacevolmente, in un ascolto che a tratti diventa fin troppo “delicato”, rischiando di perdere l’attenzione dell'ascoltatore. In chiusura troviamo Binary Sea, canzone che cita la divinità greca Atlante in un chiaro ricordo del passato, un susseguirsi di immagini che vogliono riportare alla memoria i momenti più intensi di un amore consumato.

Quest’ultimo lavoro della band di Bellingham rappresenta senza dubbio un momento di transizione nella sua carriera: dopo tanti anni i tre membri rimasti si trovano a dover riordinare le carte in tavola per definire la strada da percorrere in futuro. Purtroppo però Kintsugi è un album che lascia dietro di sé una sensazione di insoddisfazione: la scelta stilistica è sicuramente in linea con quello che i Death Cab hanno fatto fino a oggi, ma si avverte che nel percorrere la strada del ritorno forse la band non ha mostrato tutto il suo coraggio, dando vita a un'opera che non brilla per originalità. In ogni caso un album che merita di essere ascoltato, anche e soprattutto per i testi intimistici che riescono da soli a risollevare alcuni episodi.