Deerhunter – Fading Frontier (Recensione)

Deerhunter – Fading Frontier (Recensione)

2017-11-08T17:15:44+00:0011 Novembre 2015|


Deerhunter Fading frontier
Bradford Cox e compagni ritornano con il loro album piu' accessibile e melodico: il coronamento di una carriera ormai decennale, tra neo-psichedelia e ispirate parentesi shoegaze.

8,5/10


Uscita: 16 ottobre 2015
4AD Records
Compralo su Amazon: Audio CD

 

Questo è il settimo album in 10 anni per i Deerhunter: numeri che sicuramente sorprendono, ancor di più se si nota l’elevato livello che Bradford Cox e compagni sono riusciti a mantenere in quasi tutti i loro lavori. Questo Fading Frontier, molto atteso da tutta la critica, rappresenta sicuramente una delle uscite più importanti dell’anno: mai come questa volta tutti gli occhi sono puntati sulla band, che ultimamente ha fatto parlare di sé anche per alcuni atteggiamenti "particolari" tenuti sul palco.

Per iniziare a parlare di questo lavoro è d’obbligo fare riferimento al grave incidente in auto che ha coinvolto Cox nel dicembre del 2014 e alla lunga convalescenza che si è rilevata un momento di riflessione e di ricerche introspettive. Per il cantante, già colpito fin dalla nascita da una brutta malattia genetica, la sindrome di Marfan, Fading Frontier rappresenta quindi un'esplorazione del suo inconscio, una nave che spiega le vele e naviga nel profondo dell'anima. 

Al primo impatto ci si accorge subito di come questo disco suoni in maniera assai diversa dai precedenti lavori: dopo l’enorme successo avuto con Monomania (2013) i Deerhunter hanno deciso di cambiare. Restano nell’armadio tutti quei suoni lo-fi e quelle distorsioni che sono stati il loro cavallo di battaglia, mentre viene invece esaltata quella vena psichedelica che già avevano mostrato in passato. I suoni sono più puliti e melodici, accompagnati da riff di chitarra leggeri e delicati, in un mix perfetto tra la neo-psichedelia dei Tame Impala, lo shoegaze e l’originalità per cui si sono sempre distinti.

L’album comincia con una sfuggente All the Same che ci butta letteralmente in quello che è il nuovo mondo della band, fatto di synth, riff di chitarra e suoni melodici. Insieme a tutto questo riusciamo a percepire quella malinconia di fondo che caratterizza tutto l’album, e che contraddistingue anche la successiva I’m Living My Life: una ballata a modo suo, un'affermazione semplice ma che dice molto, quasi un dolce grido rivolto alla società.

Poi arriva la spaventosa tripletta: Breaker, Duplex Planet e Take Care, semplicemente i pezzi più belli dell’album. In questi tre brani si racchiude tutto ciò che sono i Deerhunter: i primi due ricordano Monomania, tra giri di chitarra psichedelici che però si adattano alla nuova faccia della band; poi però arriva Take Care, ed è un vero capolavoro di musica neopsichedelica. Il pezzo migliore dell’album, il più intimo ed emotivo. Semplice, essenziale e soprattutto diretto: Cox sembra sussurrare sul sound fatto di synth e chitarre un po’ smielate.

Si giune poi alla funky Snakeskin, pezzo molto ritmato, sul quale è impossibile non muovere la testa. Qui Cox si lascia andare, riprende un sound di base un po’ grunge e lo tinge di melodia. A seguire segnaliamo Ad Astra, la canzone che decreta la cristallina bellezza di questo lavoro: a suo modo shoegaze, è la canzone che maggiormente mette in luce il loro cambiamento. Potrebbe sembrare un pezzo degli ultimi Tame Impala, anche loro in grado di "cambiare pelle" quest'anno con l'acclamato Currents. Similitudini forti ma che i Deerhunter si meritano perché questo oltre a essere il loro migliore lavoro è anche un gran capolavoro.


Vi ricordiamo che la band è in Italia in questi giorni per due date live: domani sera al Magnolia di Segrate (MI) e venerdì al Bronson di Madonna dell'Albero, in provincia di Ravenna.