Eels – Wonderful, Glorious (Recensione)

Eels – Wonderful, Glorious (Recensione)

2017-11-08T17:15:50+00:0011 Febbraio 2013|


Dopo tre album deludenti tornano gli Eels casinisti e romantici di Souljacker: non mancano le belle canzoni, ma non avrebbe fatto male un po’ piu' di varieta'.

6,5/10


Uscita: 5 febbraio 2013
Vagrant Records
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A tre anni dalla conclusione della non del tutto convincente trilogia Hombre Lobo-End Times-Tomorrow Morning, torna Mr. E con la sua decima fatica in studio Wonderful, Glorious, un disco con una copertina di rara bruttezza e un titolo che pare l’ennesimo tributo di Mark Everett alla vita. Provo sempre un po’ di emozione nell’approcciarmi ai dischi di Mark, per via del suo passato a dir poco tormentato da lutti tragici e porte sbattute in faccia (a questo proposito vi consiglio la lettura della sua autobiografia Things The Grandchildren Should Know): ogni volta la curiosità è quella di vedere in quale modo questa volta riuscirà a reagire, riaffermando con forza che lui è più forte di tutto.

Il disco non riesce a perdere le cattive abitudini accumulate negli ultimi 12 anni di carriera: si presenta come una sequenza di ballate malinconiche in pieno stile Eels (Accident Prone, On The Ropes, You’re My Friend) con qualche traccia che si alterna tra pezzi quasi in stile talkin’ blues e classici ritornelli rock (Bombs Away, Peach Blossom) e semplici ballate rock dalla ritmica forsennata (Stick Together, New Alphabet). Nonostante questo ci troviamo sicuramente di fronte al miglior album degli Eels dai tempi di Blinking Lights and Other Revelations (2005): peccato solo per alcune tracce superflue nell’economia dell’album e semplicemente poco creative per quanto riguarda la struttura.

Wonderful, Glorious scorre bene all’inizio: l’apertura sussurrata di Bombs Away, supportata da un’incalzante batteria e da una semplice ed efficace linea di basso ci conducono nel ritornello che ha il preciso ruolo di prendere le distanze dalle sonorità dell’ultimo Tomorrow Morning: tornano gli Eels sporchi e gradevolmente incazzati; in pratica, gli Eels che più ci piacciono. A questo punto se non siete pronti ad un ritorno del genere e vi aspettavate un altro disco sognante e spoglio di chitarre come gli ultimi tre, “You’d better get out!”, come esclama Mr. E a fine ritornello.

Kinda Fuzzy segue le linee guida del primo pezzo, affidando però l’apertura alla partitura di basso piuttosto che alla batteria; dal punto di vista dei contenuti il concetto di “essere pronti” lascia il posto al sentirsi in qualche modo confuso (Kinda Fuzzy, appunto) ma molto determinato in quello che si sta facendo. Noi non potevamo chiedere nulla di più e ci lasciamo trascinare in questa spirale rock, che ci porta al primo lentone romantico di pura scuola Eels, Accident Prone (“Che felice caso che io mi sia imbattuto in te […] per fortuna sono sempre stato così incline alle casualità”).

Segue il primo singolo Peach Blossom, l’ennesimo inno all’ottimismo del gruppo, tra ritornello e batteria in pieno stile Souljacker che si alternano a strofe parlate (un po’ una Susan’s House più agitata, per intenderci). “Apri le finestre e odora il fiorire dei peschi”: il brano sembra esprimere la felicità di un uomo dalla vita a dir poco travagliata con un inno alle cose semplici che gli danno la forza di “Vincere anche questa battaglia e andarmene, nessuna sconfitta”, come afferma nella seguente On The Ropes, accompagnato da una chitarra delicata e dagli accordi sussurrati del pianoforte. Segue The Turnaround, un’altra classica ballata con tastiere e voce in crescendo che forse risulta un po’ ridondante e per quanto bella sembra un po’ un passaggio a vuoto del disco, soprattutto se paragonata alla più convincente Calling For Your Love presentata poco più di un mese fa per il film del Cirque du Soleil.

Il secondo singolo New Alphabet ci riporta alle sonorità di Peach Blossom, seguendone a grandi linee struttura e sonorità: per quanto sia un brano piacevole è l’ennesima dimostrazione di un’empasse creativa, che porta questo disco spesso e volentieri ad arenarsi su soluzioni già sentite. Il messaggio del brano in questo caso è più arrabbiato e determinato del solito, un’esortazione a reinventare un “nuovo alfabeto” quando il mondo diventa un posto ostico per i nostri standard e per il nostro modo di vivere, in modo da poter capire meglio cosa succede attorno a noi. A New Alphabet segue una ballata dinamica e catchy, Stick Together, trascinata da un piacevole riff di chitarra a cui si aggiunge durante il ritornello un’ottima batteria: sono questi elementi, insieme alla consueta voce profonda di Mark Everett a trainare il disco fino alla fine, con la doppietta formata da Open My Present e dalla convincente title track conclusiva.

Arrivati alla fine del disco, la sensazione è di aver ascoltato alcune tracce di ottimo livello che sicuramente riecheggeranno a lungo nei nostri lettori Mp3, circondate però da un buon numero di brani poco ispirati (specialmente True Original, You’re My Friend e I Am Building A Shrine) che ripropongono la classica struttura “chitarra & voce” senza grande convinzione, e risultando alla fine un mero riempitivo. Non un disco impeccabile quindi (come mi sentirei invece di definire i primi tre lavori e, in misura minore, Blinking Lights), ma comunque un disco che ha il grande pregio di far rialzare la testa alla band dopo tre dischi al di sotto della sufficienza e di rilanciare gli Eels casinisti e sognatori che ci mancavano tanto.

Gli Eels saranno in Italia ad aprile per un'unica data live: i biglietti sono disponibili su Ticketone.