Father John Misty – I Love You, Honeybear (Recensione)

Father John Misty – I Love You, Honeybear (Recensione)

2017-11-08T17:15:45+00:008 Agosto 2015|


Father John Misty I Love You Honeybear
Al secondo LP Josh Tillman racconta le gioie della sua nuova vita coniugale: peccato che il risultato sia un album lento, melenso e francamente un po' noioso.

6/10


Uscita: 9 febbraio 2015
Sub Pop Records
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Josh Tillman l'eterno l'insoddisfatto prosegue nel suo percorso di recherche semiproustiana: dopo aver mollato i Fleet Foxes causa disagio e senso di alienazione, dopo essersi scelto per moniker un nome che lui stesso definisce a metà tra quello di un "cavallo domestico preferito dell'infanzia" e il nome di battaglia di una spogliarellista, dopo l'illuminante esperienza Shakabuku in cui si sarebbe sconvolto di LSD dopo aver scalato nudo un albero dietro consiglio di uno sciamano, dopo aver prodotto il suo debutto da Father John Misty con Fear Fun (2012), torna quest'anno con un album dal titolo very cute I Love You, Honeybear, per raccontarci le gioie della sua nuova vita coniugale.

Come recita la descrizione pubblicata sulla pagina web dell'etichetta che lo produce, l'autorevole Sub Pop Records:

I Love You, Honeybear è un concept album che parla di un tizio chiamato Josh Tillman che passa un bel po' di tempo a tirare testate al muro, coltivare rapporti superficiali con estranei e in generale evitare l'intimità a tutti i costi. Tutto questo serve ad alimentare una versione di sé stesso che sia in qualche modo accettabile per il suo narcisismo auto-deprecativo.

E fin qua, siamo già tutti interessati. La svolta narrativa avviene quando il nostro "anti-eroe", in un parcheggio da qualche parte in America, incontra Emma [Garr, fotografa e film-maker poi divenuta appunto signora Tillman], che "gli ispira una visione della vita secondo la quale essere riconosciuti per ciò che si è davvero non è sinonimo di vergogna, bensì rappresenta una vera liberazione, una sublime, sconfinata creatività". Insomma per farla breve, succede che Tillman si innamora, si sposa, e tutto gli sembra improvvisamente bellissimo, innocente e puro, così non vede l'ora di farci su un album – ma per non rovinarsi l'immagine di ragazzo interrotto e difficile, e forse per prendersi il tempo di rifletterci sopra ulteriormente, non manca di infilarci un paio di critiche generiche e un po' apatiche al Sistema e al cattolicesimo bigotto e tradizionalista che gli avrebbe rovinato l'adolescenza, nonché qualche frecciatina all'indirizzo di varie ex [vedi The Night Josh Tillman Came To Our Apt., Nothing Good Ever Happens…, Strange Encounter], che in fondo disprezza perché non avrebbero compreso appieno la sacralità del suo 'concedersi', ovviamente – e al povero Julian Assange, tirato in causa per ragioni del tutto auto-referenziali [The Ideal Husband].

Tra i gadget promozionali legati all'uscita dell'LP, una boccetta da 14,8 ml di eau de parfum, prodotta in un'edizione limitata di 300 esemplari, e venduta alla modica cifra di 75$ col nome di Innocence by Misty. A quanto pare la fragranza è andata presto sold out, ma in compenso – se avvertite l'urgenza di toelettarvi con stile – è ancora disponibile sullo stesso sito il profumo di Bonnie Prince Billy per qualcosina in più (200$).

La title track che apre le danze a questo cinico e profumato Inno alla Gioia è lenta e inesorabile come il collasso della borsa di Wall Street, e il resto dell'album non è da meno nell'offrire panoramiche sul nulla e istantanee di decadenza. Musicalmente si avvicina a tutto ciò che sa di già sentito e intramontabile (da Cat Stevens a David Gray, da Elton John a Donovan, da James Taylor a Neil Young), e introduce novità se non altro negli arrangiamenti e nel suo savoir faire di frontman pseudoesistenzialista, che macchia i testi con sprazzi di Rorschach fatti di mascara, sangue, cenere e liquido seminale – per il gusto di veder bruciare il tutto e restare a guardare, tenendo ben stretta a sé la sua personale Marla e l'invincibile bolla che li avvolge (probabilmente a forma di cuore, come il vinile su cui è stato stampato il singolo in edizione limitata I Loved You, Honeybee).

Trombette mariachi melanconiche per Chateu Lobby #4 (in C for Two Virgins), dove la gente è tutta noiosa e i coniugi Tillman non ancora del tutto annoiati: singolare il riferimento a Unfinished Music No. 1: Two Virgins – primo album solista per la coppia LennonOno, registrato d'un fiato in una notte come preludio al loro primo amplesso. Trascurabile True Affection, un filler che sa di Röyksopp generici e con un testo che banalmente chiede di evitare di spendere soldi in telefonate. In The Night Josh Tillman Came To Our Apt. potremmo addirittura rinvenire l'Elton John di Candle in the Wind e di Daniel, ma molto edulcorato e senza gli anni '80 in cui sprofondare gentilmente. Eppure l'intero album sembra offrire una buona quantità di vasche da bagno utili allo scopo, quasi una per ogni decennio, dagli anni 50 degli Aquatones ai 60 di Percy Faith ai 70 di Harry Chapin, e via sprofondando. Sembra quasi di essere in un lungo episodio di Mad Men dove Tillman ha appena scoperto di voler tornare a essere Dick Withman e puntualmente si risposa sperando che sia la volta buona – l'ultima. Purtroppo però, a parte la title track e forse Chateu Lobby, siamo di fronte a un album davvero lento e melenso, francamente un po' noioso, in cui la maggior parte dei brani possono valere al meglio come graziosi ornamenti per titoli di coda – forse proprio per quel lunghissimo "video di Youtube che è la vita", per citare lo stesso Josh:

I guess all my songs are Youtube comments on the human experience Youtube video.

In definitiva, I Love You, Honeybear si rispecchia in maniera piuttosto univoca negli argomenti di cui tratta e nelle melodie da cui trae ispirazione: un po' come il concetto di matrimonio cattolico di rito, si rende condizione non necessaria e non necessariamente sufficiente.