Flaming Lips @ Sherwood Festival, Padova – 10 luglio 2012 (live report)

Flaming Lips @ Sherwood Festival, Padova – 10 luglio 2012 (live report)

2012-07-13T15:34:03+00:0012 Luglio 2012|

Wayne Coyne con le sue mani laser

Partiamo con un assunto di base: un concerto dei Flaming Lips è innanzitutto un grande spettacolo. Da un po’ di anni Wayne Coyne e compagni, alla luce di una carriera sempre interessante e di un talento artistico ormai comprovato, hanno deciso di mettere in secondo piano la musica durante le loro esibizioni dal vivo, con lo scopo di trasformare ogni concerto in una grande festa a metà tra Halloween e Carnevale. Fedeli alla loro missione di esploratori della psiche umana, i cinque Fearless Freaks quando salgono sul palco sembrano voler raggiungere uno scopo molto più ambizioso del semplice intrattenimento: ricreare quello stato di felicità cosmica e di stupore che si può provare solo di fronte ai grandi spettacoli naturali o attraverso l’uso di sostanze più o meno illecite.

L’intero armamentario scenico (completo di coriandoli e palloni colorati, manone di cartapesta spara-laser e l’immancabile passeggiata di Wayne nella palla trasparente sopra le teste del pubblico) si è riproposto in grande stile nel loro primo concerto italiano di quest’estate, tenutosi nell’ambito dello Sherwood Festival di Padova. Dopo l’introduzione affidata ai nostri Verdena, Wayne Coyne e compagni hanno attaccato col botto, suonando subito due dei loro pezzi più famosi, Race for the Prize e The Yeah Yeah Yeah Song. Un’apertura frastornante per gran parte del pubblico, che invece di lanciarsi soddisfatto nella festa, è sembrato un po’ freddo all’inizio, troppo perso a contemplare le trovate sceniche per lasciarsi andare veramente

Il divertente carnevale anarchico dei primi due brani ha toccato il culmine quando la band ha attaccato le prime note di On the Run, il brano dei Pink Floyd recentemente riletto sul loro album-tributo a Dark Side of the Moon: in pochi secondi Coyne è entrato nella sua bolla di plastica e si è lanciato sul pubblico. Era il momento più atteso da chi non aveva ancora visto dal vivo la band e non ha affatto deluso: l’emozione di vedere la smorfia perennemente sorridente di Wayne Coyne passarti sopra la testa è una di quelle cose che non si dimenticano facilmente, e resta uno dei modi più intelligenti escogitati dalla band per coinvolgere i fan.

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Peccato che nel seguito del concerto si sia faticato a ritrovare questo livello di partecipazione: a causa di una scaletta disgraziata, che ha affiancato troppi brani lenti (Is David Bowie Dying??, Ego Tripping at the Gates of Hell e I’m Working at NASA on Acid), i Lips nella parte centrale dello show sono sembrati persi nel loro mondo, troppo impegnati a provare dal vivo i brani nuovi (in verità tutti ancora da rifinire) per venire incontro alle richieste del pubblico, che urlava “Yoshimi!” praticamente alla fine di ogni brano. Qualche notevole eccezione c’è stata con le movenze psichedeliche di See the Leaves e una Drug Chart che ha elencato tutte le sostanze psicotrope attualmente in commercio sul maxischermo dietro alla band. Solo verso la fine del set, con la splendida doppietta What is the Light? e The Observer, la band è riuscita a riguadagnare l’attenzione del pubblico, che li ha richiamati per un’ottima Ashes in the Air e una lunghissima Do You Realize?, dove finalmente band e audience sono sembrati uniti nella voglia di celebrare insieme la serata.

Il bilancio finale non è stato completamente positivo. Innanzitutto sono mancate le hit: non dico dovessero suonare la giurassica She Don’t Use Jelly, ma se almeno fossero spuntate Yoshimi Battles the Pink Robots oppure qualche altro pezzo dagli ultimi due album penso che molti sarebbero andati a casa più soddisfatti. La verità è che i brani nuovi (diciamo quelli incisi dai Lips nel periodo successivo all’uscita di Embryonic) sono solo scheletri delle composizioni a cui ci hanno abituati, spesso basati su una singola idea o linea melodica, e impallidiscono di fronte alla ricchezza di idee sfoggiata su The Soft Bulletin. L’impressione è quella di una band che negli ultimi anni ha perso un po’ la strada, concentrandosi più su nuove strabilianti trovate pubblicitarie (la canzone da 6 ore, la canzone da 24 ore, il disco nel teschio di gomma, il disco nel teschio umano, e via esagerando…) che sulla musica. Ma, come tutti sappiamo, i Flaming Lips ci hanno già abituati a strabilianti ritorni, e non è escluso che la loro prossima mossa riesca a sorprenderci di nuovo con le canzoni, e non più con le trovate di contorno.

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