The Kills – Ash & Ice (Recensione)

The Kills – Ash & Ice (Recensione)

2017-11-08T17:15:43+00:0026 Dicembre 2016|


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Agitato non mescolato l'ultimo dei Kills, come preannuncia l'elegante drink in copertina: tra cenere e ghiaccio, il vulcanico duo aggiorna in chiave intimista il suo sound minimale.

7,5/10


Uscita: 3 giugno 2016
Domino Records
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Ash & Ice è il quinto album in studio dei Kills, e ha poco in comune con il precedente Blood Pressures (2011), fin dal titolo. Il raffinato gioco di richiami (geometrici) e contrasti (semantici) tra il bicchiere da cocktail e il vulcano in copertina, immobilizzati come prima che accada qualcosa, dovrebbe già far saltare all'occhio la volontaria deviazione del duo verso un nuovo tipo di proposta, un nuovo sound, e, forse, persino una svolta nei testi.

È ormai assodato che l'inglese Jamie Hince e l'americanissima Alison Mosshart sono accomunati dallo stesso interesse per la sperimentazione e da una grande compatibilità sia musicale che professionale, sin da quando lei, ancora nel 2000, decise di trasferirsi in Europa per creare una band con lui, dopo lo scioglimento della propria e anni di registrazioni e progetti scambiati oltreoceano. In Ash & Ice l'affiatamento dei due diventa tangibile, complice la genesi particolarmente cupa e dolorosa dell'album: negli ultimi anni Hince è stato infatti a un soffio dal non poter più suonare la chitarra a causa di un infortunio alla mano, e ha assistito impotente al crollo del proprio matrimonio con la modella Kate Moss, cosa che l'ha lasciato particolarmente scosso. Ecco i motivi del viaggio on the road sulla Transiberiana, in un percorso tra le nevi e il nulla da Mosca a Vladivostok, in cerca di una catarsi che ha portato alla stesura di Siberian Nights, la prima canzone a essere stata scritta, sulla scia delle suggestioni del luogo  – anche se il pezzo scelto come singolo di lancio è la vibrante e metropolitana Doing It to Death.

Ascoltando questi 13 brani uno dietro l'altro ci si immerge in un'atmosfera invernale rarefatta e minimalista, colorata da imprevedibili basi sintetiche, scandita dai beat ossessivi e un po' psichedelici dei tappeti di sottofondo, e illuminata dai rari ma azzeccati riff di chitarra di Hince. Essenzialità ed efficacia sembrano essere state le parole d'ordine del duo nel realizzare questo nuovo lavoro, perché sia i fraseggi di Jamie sia la voce di Alison, versatilissima nei suo scarti dal blues al rock, ma graffiante e seduttiva come sempre, si lasciano indietro tutte le scorie sonore, compenetrandosi in uno scabro ma raffinatissimo equilibrio melodico. Dalla traccia di apertura Doing It To Death (intro ripetitiva, chitarre sporche e finale elettronico), si passa a Heart Of A Dogdove un inizio in cui le percussioni sembrano passi ritmati prelude alla voce che sfuma sempre più distorta; si arriva poi a Hard Habit To Break, in cui dopo una partenza impetuosa e l'ingresso della voce aggressiva della Mosshart si staglia uno dei più eclatanti riff di Jamie, come un'ossatura sonora che sorregge l'intero pezzo.

Seguono Bitter Fruit, scanzonata e un po' schizzata con la sua sovrapposizione di voci, forse la meno epica dell'album, e Days of Why and How, aperta dalle percussioni e da un motivetto sintetico che sottolinea la voce nuda, prima che voce e chitarra guidino il ritornello verso un finale che sembra quasi un treno che riparte. Let It Drop ha un'intro sostenuta e sintetica, con Alison che sembra quasi rifare il verso a Madonna,  in mezzo a una pioggia di suoni ripetuti, cinematografica; Hum For Your Buzz, al contrario, è vintage, lunatica e rockettara, e anticipa l'ipnotica e già citata Siberian Nights, orecchiabile e tesa come una roulette russa, con un'intro allarmante che fa pensare a una corsa sulla neve, e qualche concessione al pop.

That Love è un'altra novità: un lento romantico e introspettivo che sa di sigarette spente, guidato dal pianoforte fino alla folle Impossible Tracks, giocata su un riff che si morde la coda, visionaria e rumoristica. Bellissima l'intro chitarrosa di Black Tar, tra i pezzi più complessi dell'album, a cui fa da contrasto Echo Home, sussurrata, come ascoltata attraverso un ricordo. Titoli di coda infine con Whirling Eye: scintillante, con un finale che spiazza e chiude a modo suo un disco che sa parlarci di solitudine, di sentimenti, della sfida individuale all'impossibile, senza paura di mettersi a nudo.

Il percorso artistico dei Kills è in continua evoluzione, e lo dimostra anche questo Ash & Ice: innovativo non solo nei particolari stilistici ma anche nella varietà delle proposte, e nell'attenzione riposta nei singoli dettagli, per un ascolto estremamente gradevole e contemporaneo. Forse non sarà un album rivoluzionario, ma ha il grande fascino di mostraci il duo finalmente a misura d'uomo: lasciando da parte per un attimo la coolness che li ha contraddistinti fin dal principio, il duo ha scelto cioè di raccontare in maniera sincera e diretta i tic, le paure e i sogni di ciascuno. Inutile dire che la missione è riuscita, e sembrano ora aprirsi nuovi orizzonti per una proposta musicale che negli ultimi tempi aveva iniziato a mostratre qualche segno di cedimento e ripetizione.