The Raveonettes – Pe’ahi (Recensione)

The Raveonettes – Pe’ahi (Recensione)

2017-11-08T17:15:46+00:004 Novembre 2014|


The Raveonettes - Pe'ahi
Album a sorpresa per il duo danese, che questa volta appare indeciso tra sperimentazione e noise-pop: non tutto funziona, ma c'e' abbastanza da ritenersi soddisfatti.

7/10


Uscita: 22 luglio 2014
The Beat Dies Records
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Come un fulmine a ciel sereno a luglio sono tornati sulle scene i Raveonettes, con il settimo album in studio dopo l'uno-due composto dai precedenti Raven in the Grave (2011) e Observator (2012). Pe'ahi, questo il nome del nuovo album del duo danese, viene pubblicato in sordina senza annunci né anteprime, in piena controtendenza rispetto alle imposizioni del marketing odierno. Una scelta che sembra allinearsi perfettamente alla ruvida atmosfera presente in ogni singola molecola del lavoro, poco incline alle armonie pop e più votato alla ricerca e all’introduzione di nuovi strumenti, vedi l'utilizzo cospicuo di Glockenspiel, arpa, archi e piano.

L’intero sound del disco è incanalato sui binari di uno shoegaze algido, tra riverberi diffusi e distorsioni divaganti, che nelle prime due tracce (Endless Sleeper e Sisters), non lascia spazio a null’altro se non alle consuete voci oniriche compresse in un delirio noise. Killer in the Streets invece stempera un po’ la freddezza e si veste di un'aura calda, senza però abbandonare il filo conduttore dell’intera opera, ancorata a un muro sonoro graffiante.  A metà album, Wake Me Up e Z-Boys ridonano armonia grazie alle loro introspettive melodie pop che allentano un po’ la confusione, mentre il ritmo permette di distinguere con maggior chiarezza strumenti, note e voci, restituendoci i Raveonettes che abbiamo imparato ad apprezzare nel corso degli anni.

Il trend sembra essersi invertito con A Hell Below, traccia che prende a piene mani dallo stile dei Jesus And Mary Chain e che ci traghetta fino a The Rains of May, una delle canzoni più riuscite della produzione: cambi armonici, alternanze ritmiche e vibrante elettricità che percorre tutti i 3 minuti e 47 secondi del pezzo. Più ostica invece Kill! nella sua eccentrica elettronica, mentre When Night is Almost Done si dispiega su una base pop arricchita da infiltrazioni fuzz, proiettando l’ascolto in un carillon psichedelico e distorto che alletta le nostre orecchie con la sua cadenzata vocalità. A seguire ci immergiamo nella più orecchiabile Summer Ends, che congeda la band con un sound più orecchiabile e di maggiore accesso, rispetto al resto di un lavoro che nel complesso necessita di ascolti reiterati e profondi, per veri amanti del genere.

Nella forma Pe'ahi è un vero capolavoro, grazie alla complessità dei passaggi e a una strutturazione dei brani mai banale. Tuttavia i pezzi meglio congegnati sono però proprio quelli che mollano la presa sulla sperimentazione e ammiccano maggiormente alle origini della band. Bene ha fatto il duo danese a cercare nuove strade per il suo noise-pop, però non si può dire che tutti gli esperimenti risultino perfettamente messi a fuoco, e alla fine vi ritroverete probabilmente ad ascoltare maggiormente quei brani che più ricordano le loro produzioni passate.

Per questo Pe'ahi si pone come un affascinante lavoro di transizione, che fotografa una band indecisa su come proseguire la sua ormai più che decennale carriera: per questa volta la qualità rimane alta, ma dal prossimo episodio Sune Rose Wagner e Sharin Foo dovranno davvero decidere cosa vogliono fare (e soprattutto come vogliono suonare) da grandi.