Damon Albarn – Everyday Robots (Recensione)

Damon Albarn – Everyday Robots (Recensione)

2017-11-08T17:15:46+00:0029 Luglio 2014|


Albarn-Everyday-Robots
Minimalismo e introspezione per l'esordio solista del frontman dei Blur: ne viene fuori un album intenso, lontano dal pop ma non senza melodie indimenticabili.

8/10


Uscita: 28 aprile 2014
Parlophone Records
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Dopo essere stato il leader dei Blur e aver guidato la prima band virtuale del pianeta i Gorillaz, passando per side-project e supergruppi, a 46 anni suonati Damon Albarn decide di abbandonare nomignoli, maschere e quant’altro debuttando con il suo primo album solista Everyday Robots. Ci troviamo di fronte ad una sorta di autobiografia di quello che un tempo era l'uomo-simbolo del britpop: l’album infatti mette in luce tutte le influenze musicali dell’autore, dal pop al beat, dall’elettronica al gospel, raccontando emozioni, sensazioni, luoghi ed esperienze che hanno contaminato Damon in tutti questi anni di onorata carriera.

In un mondo mediatico fatto di selfie e tweet, il cantautore britannico prende ancora le distanze dalla realtà circostante, mettendosi a nudo attraverso la musica e facendo fluire i suoi demoni come in You and Me, dove una coltre malinconica di beat elettronici si fonde con il pop per descrivere la ben documentata familiarità dell’artista con le droghe. Anche la successiva Hollow Ponds è pensata sulla stessa cadenza musicale intensa e rivelatrice, che fa da eco alla title-track Everyday Robots. La capacità compositiva di Damon non si è scalfita per nulla negli anni e prova ne è Hostiles, soffice ballata con cui l’autore parla della sua latente incapacità di relazionarsi, ma anche Lonely Press Play con i suoi lampi orchestrali, i controcanti e la voce profonda e carica. 

Mr Tembo e The Selfish Giant invece sono i pezzi più marcatamente britpop, che mantengono il filo conduttore che caratterizza l’intero lavoro, nonostante le tante poliedriche variazioni di mood e stile, ovvero la freschezza musicale tanto cara ai primi Blur. Nelle orme di Think Tank invece si muove Photographs (You are taking now), pezzo da scoprire lentamente fino a farsi possedere da quell'atmosfera a mezz’aria tra Moon Safari degli Air e i fraseggi degli Eels.

Un album insomma indiscutibilmente riuscito, capace di mostrare in piena luce l’altro lato della luna su cui l'Albarn più legato al pop sembra oggi trovare la sua dimensione migliore, invisibile all’occhio delle sirene del successo commerciale e protetto dalle tentazioni aliene dei suoi tanti progetti. A supervisionare il tutto troviamo la collaborazione di ospiti prestigiosi capaci di incanalare e bilanciare il genio di Albarn, come il boss della XL Recordings Richard Russell, e Brian Eno, che viene coinvolto nella traccia finale Heavy Seas Of Love, perfetta conclusione di questo viaggio introspettivo.