Indiemood Sessions Vol. 10 – Alessandro Ragazzo

Indiemood Sessions Vol. 10 – Alessandro Ragazzo

2015-02-23T11:51:45+00:0023 Febbraio 2015|

 

Raggiungono il traguardo delle due cifre le nostre Indiemood Sessions, i video realizzati da Indiemood Press Office in esclusiva per Gold Soundz, con protagonisti alcuni degli artisti emergenti più interessanti dell'underground italiano e internazionale.

Per festeggiare questa prima, piccola meta, oggi vi presentiamo Alessandro Ragazzo, chitarrista veneziano che qui sotto ci propone (con l'aiuto della voce di Margherita Padovan) la sua The Man with the Hat, come al solito sulla barca restaurata dall'associazione Il Caicio. Subito dopo il video trovate anche la nostra intervista con Alessandro: buona visione e buona lettura!

Ciao Alessandro, iniziamo col parlare un po' di te: quando è nato il tuo progetto solista? Avevi altre esperienze alle spalle?

Ciao! Diciamo che il mio progetto solista è nato probabilmente quando sono venuto al mondo e si è trasformato in musica circa un anno e qualcosa fa. Però rimango, credo soprattutto, un chitarrista, e quindi tutte le mie passate e presenti esperienze le ho vissute come tale, con diversi progetti di generi diversissimi tra loro dal 2009 circa. Ho fatto molti molti live, con tanti musicisti e tante belle persone, mi sono sempre divertito.

Il tuo ultimo lavoro è l'EP Venice (2014): come è nato questo lavoro? C'è stato un episodio particolare che ha ispirato i tre brani che lo compongono? Essendo un solista gli arrangiamenti sono stati pensati ed eseguiti tutti da te o ti sei avvalso di collaborazioni?

Venice è una sorta di "trip" musicale in cui nulla è vero. Ispirato da 36 ore vissute nel giugno del 2013 durante la mia Maturità, appunto a Venezia. Molte anime hanno contribuito a costruire questo piccolo racconto insieme a strani personaggi e poca luce. Gli arrangiamenti a volte pensati, a volte intuiti, si sono trasformati in note grazie all'aiuto di diverse fantastiche persone. Ringraziarle tutte sarebbe lungo e forse noioso, ma senza di loro non sarebbe senz'altro esistito questo lavoro.

Dall'ascolto dell'EP emergono delle sonorità vicine ad un pop “sperimentale” che fa pensare ad alcune suggestioni dei Coldplay. Cosa significa per te suonare pop ma contaminandolo con delle scelte sonore più particolari?

Adoro i primi (solo i primi) Coldplay, ma credo che la maggior ispirazione mi sia stata data dai Radiohead. Faccio molta fatica a esprimermi, anzi non credo di esserne capace, quindi vedo molto difficile rispondere a questa domanda (ahah). Posso solo dire che le cose particolari sono senz'altro belle, ma non esageriamo con l'essere alternativi che è rischioso.

Rimanendo ancora sul sound, un elemento che subito risalta è la forte orecchiabilità delle melodie che risultano molto aperte e ariose. Segui un disegno ben definito nell'arrangiare i brani o si tratta di un“istinto” interiore a cui dai forma successivamente?

Credo che la creatività non sia innata, ma dipenda da tutte le informazioni, i suoni e le armonie presenti nella testa e nel cuore di una persona. Forse ho la propensione a scrivere melodie orecchiabili? Può essere, tant'è che gli arrangiamenti li ho pensati come un modo per distogliere l'attenzione dalla composizione in sé. Arrangiare è una cosa bellissima, è come mettere un abito a una persona (più o meno bella): anche se il soggetto rimane lo stesso sai che con un semplice cambio d'abito potrai dare l'impressione che la persona non sia più la stessa. Così in questo EP mi è piaciuto vestire i brani con abiti che potessero appartenere poco alla loro natura, cercando un contrasto, e usando i suoni per trasmettere ciò che io avrei voluto trasmettere con le semplici parole e note, probabilmente senza riuscirci in modo così efficace. Che poi diciamocela tutta, credo che l'arrangiamento sia soprattutto una questione estetica più che filosofica: ho arrangiato i brani seguendo soprattutto quello mi sarebbe piaciuto sentire con le orecchie. Ora rileggo la risposta e ho paura che non si riesca a capire nulla di ciò che ho detto: forse ho arrangiato la risposta!

La scelta di cantare i tuoi brani in inglese è dettata da una facilità più immediata nel comporre una melodia oppure è orientata pensando a una maggiore diffusione del tuo lavoro?

Mi piacerebbe scrivere in francese ma non lo so parlare. Comunque Venice è interpretato dalle voci di Marco F., Jacopo R. e Marco P., tutti e tre rigorosamente veneziani. (Non è stato fatto apposta però è una simpatica coincidenza).

Quali progetti futuri hai in cantiere?

Ho iniziato a registrare un nuovo album, molto diverso. Poi vorrei senz'altro fare un viaggio entro aprile ed entrerò in studio anche con Industria Onirica e Dan Apartment, due progetti di musica originale in cui suono da chitarrista. Dopo Venice ho scritto tanti tanti brani, il problema è che me ne piacciono pochi, ma magari ho dei pessimi gusti. Questi brani parlano quasi sempre di un disagio, molto forte, nel vivere in questa società. Ma non è demagogia né tantomeno politica, diciamo che è più che altro sensibilità. Secondo me sta svanendo appunto la sensibilità, la delicatezza, la riservatezza e soprattutto la magia. Potrei risultare "menefreghista" nel dire che dei problemi del mondo me ne importa realmente molto poco, forse lo sono, ma ho le mie teorie. Così in questi nuovi brani auspico una sorta di giustizia divina, una riscoperta della magia attraverso la semplicità (la vera magia), un ritorno alla natura, al sogno e all'immaginazione. Spero di riuscire a creare questo piccolo Eden nella mia mente. Che poi comunque non sapendo spiegarmi, né tanto meno scrivere chissà cosa si potrà capire. Poi suonerò senz'altro tanto, a casa, ma magari anche in concerto. Usciranno nuove cose presto. Lo spero.