Ty Segall – Emotional Mugger (Recensione)

Ty Segall – Emotional Mugger (Recensione)

2017-11-08T17:15:44+00:009 Agosto 2016|


Ty Segall Emotional Mugger
Nuova band per il biondo della Bay Area, che prova un'incursione nel rock piu' sperimentale senza pero' riuscire a tornare agli splendori del 2012.

6/10


Uscita: 22 gennaio 2016
Drag City
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Dopo il "Dormiente" e il "Manipolatore" riecco il multiforme cantautore statunitense, stavolta travestito da "Rapinatore emotivo"…ma la sua ultima prova sarà all'altezza di un titolo del genere? Senza parlare di quello che campeggia sulla copertina del disco: un bambino-bambola dagli occhi allucinati, bianco in campo nero come l'incubo di un chitarrista sotto acidi. Parliamo di Ty Segall naturalmente, prolifico oltre ogni dire anche a rischio di confondere le schiere di fan che da anni tentano di districarsi nel labirintico intrico di una esorbitante discografia: Emotional Mugger, annunciato a novembre dell'anno scorso, viene a porsi esattamente un anno dopo il suo predecessore Manipulator, ed è composto di undici brani, dai titoli quanto mai eclettici.

Le novità stanno anche nella formazione, oltre che nel cambio di direzione rispetto al precedente album, caratterizzato da un quid di approssimativo pur nel solco di una certa normalizzazione, e da un revival del sound à la Marc Bolan: la band di accompagnamento ora è composta dalle due chitarre di Kyle Thomas e Emmett Kelly, da Mikal Cronin (basso e sax), da Evan Burrows (batteria) e Cory Hanson (tastiere). Emotional Mugger è stato presentato come un "nuovo progetto: ma al di là del pupazzo-maschera della cover, della nuova band di supporto e della scelta di promuovere il lavoro attraverso strade decisamente anticonvenzionali – anteprime cinematografiche e invii indiscriminati ai giornalisti e ai più prestigiosi magazine internazionali – com'è il disco?

Ebbene, il disco è estremamente uniforme, l'impressione è che sia stato generato in un'unica sessione compositiva, o che gli undici brani siano spezzoni di una sola soundtrack. Le pose istrioniche di Ty, dopo il tributo al grunge di Kurt Cobain che i più scaltri hanno potuto riconoscere in Manipulator, lo portano a esasperare la rischiosa fusione tra il garage-rock degli ultimi anni Sessanta e il glam dei primi Settanta, con incursioni hard-rock dal sapore un po' vintage. Si va da Squealer, che nella intro ricorda i King Crimson, a Californian Hills, folle e inaspettata, con echi di Bowie nella maniera di modulare il cantato, da Squealer Two, pezzo quasi inutile, dove ritorna Bowie non bastando a far dimenticare il pessimo ritornello, alla title track, grande attacco e successivo straniamento appena entra la voce, sino all'azzeccata doppietta di Mandy Cream e Candy Sam, la prima scandita da bei riff di nuovo echeggianti i King Crimson e la seconda chitarrosa, dalla intro potente, purtroppo ridimensionata dall'ingresso della voce.

Si rimane un po' male nell'apprendere che l'unico pezzo interamente orecchiabile, scanzonato, brioso, Diversion, è la cover di un brano degli Equals riportato in vita direttamente dal 1973, in una veste in ogni caso riuscita. Sorvoliamo sul caos gratuito della iper-sperimentale W.U.O.T.M.S, del tutto fastidiosa e inascoltabile più che irriverente, per finire col pezzo che chiude l'album, The Magazine, ove il biondo pazzoide ricorre alla sorpesa di una rincorsa di battiti di mani.

Nel complesso quaranta minuti di canzoncine ossessive, dove il noise è molto presente ma senza controllo logico, i cambi spesso non sono dove l'orecchio li vorrebbe, i synth creano effetti che potrebbero essere più raffinati: per fortuna in rilievo stanno come al solito il ronzio delle chitarre e i ritmi strascicati, perché le idee di Ty sono buone, a volte molto buone, solo che si disperdono annicchilite dalla loro stessa quantità. Troppa velocità nel pubblicare, troppa poca selezione, col rischio che anziché lavorare a un pezzo memorabile Segall proponga indiscriminatamente anche i brani che sanno di "già sentito".

È molto difficile, anche per un funambolo come lui, tenersi costantemente in bilico tra accessibilità e sperimentazione, tra il desiderio di cambiare semplicemente maschera e la pulsione sovversiva alla rivoluzione vera e propria. La nota positiva è la maggior partecipazione della band di accompagnamento, che si produce in mirabolanti escursioni con le tastiere e in alcuni assoli di chitarra che, l'abbiamo già detto, risollevano il valore generale di quest'ultimo lavoro. Alla fine di tutto, però, Emotional Mugger si ascolta una volta sola.