Weezer – Everything Will Be Alright in the End (Recensione)

Weezer – Everything Will Be Alright in the End (Recensione)

2017-11-08T17:15:45+00:0030 Dicembre 2014|


weezer-everything will be alright in the end
Dopo un lungo deragliamento, Rivers Cuomo e compagni tornano in carreggiata, regalandoci un album piu' ruvido e grezzo dei precedenti, in puro stile nineties.

7/10


Uscita: 7 ottobre 2014
Republic Records
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Everything Will Be Alright in the End è il nono lavoro dei Weezer, che tra alti e bassi vantano ormai una carriera ventennale alle spalle. Dopo un deragliamento durato qualche album, Rivers Cuomo e compagni sembrano finalmente tornare in carreggiata, regalandoci un album piacevole e pienamente weezeriano, (quasi) erede naturale del glorioso Pinkerton (1996). Più ruvido e grezzo dei precedenti LP, il disco si discosta dalla linea pop per tornare a un rock alternativo e più aggressivo, in puro stile '90s.

Si parte con una madre che sussurra dolcemente al figlio “Everything will be alright in the end” nell'intro di Ain't Got Nobody e poi giù di riff aggressivi, pur cullati dalla voce melodiosa di Cuomo, in un inizio scoppiettante che prosegue col primo singolo Back to the Shack: complice forse la rinnovata collaborazione con Ric Ocasek, già produttore del Blue e del Green Album, il quartetto rispolvera il suo classico sound rock da college americano, mentre Rivers ci tiene a scusarsi con i fan delusi dal deragliamento di cui sopra:

Sorry guys I didn't realize that I needed you so much I thought I'd get a new audience, I forgot that disco sucks / I ended up with nobody and I started feeling dumb / Maybe I should play the lead guitar and Pat should play the drums

A seguire Eulogy for a Rock Band suona come un malinconico e nostalgico elogio (funebre) a una band scomparsa (o è del rock stesso che si parla?), mentre Lonely Girl spicca in questo inizio per un ritmo che in certi punti si fa quasi grunge. Interessante I've Had It Up to Here nella quale sin dall'inizio si palesa (il falsetto è di chiarissima provenienza) la collaborazione con Justin Hawkins, cantante dei The Darkness.

Con The British Are Coming siamo trasportati in una dimensione più dolce e melodica, per poi immergerci in un sound più pop e orecchiabile con la “californiana” Go Away in cui Cuomo duetta con Bethany Cosentino dei Best Coast. Cleopatra invece, con un inizio tra chitarra e armonica ci porta nell'entroterra americano, in una zona più country, anche se non mancano gli assoli che hanno reso famoso il leader dei Weezer. Infine l'ambiziosa tripletta The Futurescope Trilogy: I. The waste land, II. Anonymous, III. Return to Ithaka, in cui il primo e il terzo atto fungono da cornice punk (strumentale) alla parte centrale che, con un intro di pianoforte ci conduce fino al coro “I don't even know your name / No, I don't know the words to say / So I call you Anonymous”.

E' lontano il tempo in cui i Weezer erano dei nerd che uscivano timidamente dalle loro camerette muniti dei classici occhiali spessi: ormai hanno messo la testa a posto, si sono accasati e hanno chiuso in un cassetto le turbe post-adolescenziali. Eppure in questo album sembrano essere finalmente in grado di rispolverare quegli anni, “Rockin' out like it's '94” come da programma: non ci resta quindi che accoglierli calorosamente come si fa con amici che, dopo anni di distanza, scopriamo essere piacevolmente rimasti fedeli a sé stessi, sperando che il rinsavimento sia duraturo e non ci porti a ulteriori delusioni con i prossimi episodi della Weezer-saga.