Yeah Yeah Yeahs – Mosquito (Recensione)

Yeah Yeah Yeahs – Mosquito (Recensione)

2017-11-08T17:15:49+00:0012 Aprile 2013|


Yeah Yeah Yeahs Mosquito
I tre newyorchesi tornano con un sogno agrodolce e un po' tormentato, che non e' poi cosi' disperato come potrebbe sembrare.

7/10


Uscita: 16 aprile 2013
Interscope Records
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Un infante dai capelli elettrizzati urla con la bocca spalancata e sozza di gelatina verde fluo, mentre una zanzara gigante dal ventre incandescente lo tiene appeso a testa in giù per una caviglia, afferrandolo con una zampa: la tremenda, surreale punizione per l'essere colti con le mani nella marmellata, a firma Yeah Yeah Yeahs.

WTF?

E' la reazione adeguata e sacrosanta di fronte alla copertina del loro nuovo album Mosquito, quasi un omaggio involontario all'iconografia tipicamente Cramps che aveva influenzato (almeno idealmente) l'estetica e il sound del gruppo agli esordi. Poco da meravigliarsi, insomma, se PopDust ha già definito questo aborto grafico come un "precoce primo classificato per la peggior copertina del 2013". Il suo stesso creatore, l'animatore di origine sud-coreana Beomsik Shimbe Shim, ha ammesso di essere andato in paranoia una volta resosi conto delle reazioni non proprio positive del pubblico.  

Ma facciamo un passo indietro, fino a questo video: negli studi newyorchesi di Noisey, la piattaforma musicale di Vice America, siedono tre individui con la faccia un po' così: un capellone dall'aria geeky, un mezzelfo vagamente emo e, al centro, una creatura femminile dal caschetto biondo platino con palese ricrescita, un maglioncino color senape sopra una t-shirt verde pisello sopra un paio di leggings in pelle nera, e occhiali da sole a farfalla. Sorride, ride quasi con ovvio ed agitato nervosismo quando indica l'enorme testa di zanzara di peluche rosa lì in disparte, fuori dall'inquadratura, simbolo del loro ultimo, atteso album. Mosquito esce infatti a quattro anni di distanza da It's Blitz!, ed è esattamente il quarto album all'appello nella discografia della band.

Karen O, la "rockstar/donna-guerriero", come l'hanno definita in tanti, già la immaginiamo ridere mentre spiega a Shimbe che per la copertina del nuovo LP vorrebbe appunto qualcosa di fucked up. "E' un album per sentirsi bene, cibo per l'anima, brodo di pollo per le orecchie – che non significa facile da ascoltare – vuol dire in qualche modo grezzo, caotico, un po' sognante" – spiega, sorridendo. Da questa donna che sorride così tanto ti aspetteresti quasi di tutto, anche ciò che non ti aspetteresti: come vincere il Sex Goddess Award di Spin Magazine per due anni di seguito, insieme alle numerose nomination come donna più sexy del rock, nonostante la figura androgina, nonostante l'attitudine punk e la mosse sgraziate, quasi maschili come le sue collaborazioni recenti; negli ultimi mesi infatti Karen ha lavorato con David Lynch in un brano del suo Crazy Clown Time, con gli Swans in un pezzo di The Seer, con Trent Reznor in una cover di Immigrant Song per il film The Girl With The Dragon Tattoo, e addirittura con Johnny Knoxville per la colonna sonora di Jackass 3D.

Come a confermare l'impudenza del gruppo, il disco si apre con un brano intitolato Sacrilege, scelto come primo singolo: chitarre graffianti su ritmo trip-hop/downtempo, alla Massive Attack, e un coro gospel da chiesa cristiana-metodista a intonare lo scandalo per un amore proibito, un angelo -con tanto di aureola- caduto per divina provvidenza direttamente dal cielo nel letto coniugale. Il rimorso arriva puntuale come i treni della metropolitana in Subway, sui binari dell'autocommiserazione che portano ai tempi dell'adolescenza andata e dell'innocenza perduta, cullato dal rumore delle ruote di un vero vagone che viaggia a rilento sulle rotaie. Altrettanto puntualmente il rimorso se ne va, easy come easy go, come si usa a New York, per lasciare spazio al ritmo incalzante di Mosquito, il brano che dà il titolo all'album. Un irritante mix di sentimenti e sensi di colpa che "succhieranno il tuo sangue", la cosiddetta coda di paglia: "Sentivi un prurito quando chiamavano il tuo nome?". Difficile non richiamare alla mente la storica I Am The Fly dei Wire, o la Human Fly dei Cramps, ma se lo scopo di una mosca può essere semplicemente dare fastidio, quello di una zanzara va ben oltre, si avventura "tra le gambe" e fino "in vena", forse addirittura fin sotto terra.

Under The Earth è infatti il posto in cui vanno a finire questi amori amputati, soffocati, soppressi, su cui "dodici lingue" mettono bocca e "pronunciano maledizioni". E' dura divertirsi in santa pace, quando i fantasmi dei tuoi schiavi scappano via. Schiavi che in Slave diventano però inevitabilmente padroni, nel gioco forzato di un amore che consuma l'amato e fa banchetto dei suoi sentimenti. Interessante la batteria passivo-aggressiva e la maniera in cui il procedere fluido da un brano a quello successivo crea un percorso sonoro quasi onirico, che ci porta senza fatica a These Paths, dove le strade dell'ossessione -ancora una volta sessuale e sentimentale- si incrociano e si ripresentano, sempre uguali a se stesse; gli intrecci elettronici prendono ognuno il loro "pezzo di quella stella", "un sorso" per non morire della fame di un'agonia mentale che dà quasi assuefazione. In perfetto stile Yeah Yeah Yeahs, dalle stelle si va direttamente nello spazio con Area 52, un misto di punk ed elettronica che esprime l'unico desiderio possibile a questo punto, di essere rapiti (e liberati) dagli alieni. "Libera te stesso, quel guinzaglio è lungo, lungo, lungo" suggerisce ironicamente Buried Alive, che già dal titolo lascia intendere esattamente il contrario. La collaborazione di Kool Keith-Dr. Octagon al brano vede inserti rap che giustificano la produzione da parte di James Murphy degli LCD Soundsystem, e ne fanno un pezzo alquanto singolare, forse un po' isolato rispetto al resto dell'album.

Always riconduce però con grazia alle tematiche dominanti di Mosquito, del genuino entusiasmo con cui si dice "per sempre" e poi "per sempre" non è, come ammette la stessa Karen con un sorriso stavolta triste. Anche se, subito pentita, si affretta poi ad aggiungere che la successiva Despair sta a significare una forma di redenzione, di speranza: non è un album poi così disperato come potrebbe sembrare. "Oh disperazione, sei sempre stata lì / eri lì nei miei anni sprecati / in tutte le mie paure solitarie, nessuna lacrima scorre tra le mie dita, le lacrime mi bruciano gli occhi, niente lacrime / se è tutto nella mia testa non c'è niente di cui aver paura / niente da temere / attraverso l'oscurità e la luce, un po' di sole deve spuntare / il mio sole è il tuo sole / il tuo sole è il nostro sole". Alla struggente bellezza del brano segue la delicatezza eterea di Wedding Song, che chiude l'album parlando di "un certo tipo di felicità violenta". Che è quella che si prova ad entrare nel sogno un po' agrodolce e tormentato di questi tre newyorchesi, e ad uscirne.

Obiettivamente il sound di Mosquito non apporta grandi innovazioni allo stile della band; se da un lato riprende senza troppo entusiasmo le sonorità synth-dance di It's Blitz!, dall'altro sembra accennare qualche goffo tentativo di ritorno ai tempi di Fever To Tell, con l'unico risultato di mantenere dignitosamente lo status quo e lasciarsi tutto sommato ascoltare. Non si discosta insomma dallo stile Yeah Yeah Yeahs più generalizzato, vale a dire quello che potrebbe risultare dall'unione tra tutti i loro dischi precedenti in un mix rappresentativo da far suonare in sottofondo ad un party newyorchese. Perché in definitiva c'è molto della New York hip e modaiola in Mosquito, molte delle sue contraddizioni più moderne: dalla copertina trash dal gusto punk-metropolitano, ai suoni apparentemente semplici che stridono però con un cantato sempre più acido e viceversa.

Se vogliamo manca la coerenza di lavori precedenti come Show Your Bones o It's Blitz!, il sound diventa incostante, un po' come quando nei sogni riconosci gli amici più per la presenza spirituale, idealmente, che per averli visti in faccia. Eppure, come disse Dylan Thomas: "Io credo nei newyorchesi. Ma se abbiano mai messo in dubbio il sogno in cui vivono non potrei saperlo, perché non mi azzarderei nemmeno a porre quella domanda".