Sadside Project (Undersoundz Italy)

Sadside Project (Undersoundz Italy)

2013-04-09T11:35:08+00:009 Aprile 2013|

Bandiera_italiana

Salve popolo di Gold Soundz! Mi chiamo Andrea e da oggi sarò io ad occuparmi della nuova rubrica Undersoundz Italy.  Di cosa si tratta? E’ presto detto: uno sguardo sulla realtà musicale italiana più nascosta, la musica che cerca di ritagliarsi un posto in fondo alle pagine di qualche rivista, tra gli scaffali di qualche negozio di dischi o magari tra i social network più famosi.
Undersoundz Italy si pone come obiettivo principale quello di guardare con occhio critico le realtà musicali emergenti nella nostra penisola, per alimentare il motore che da sempre muove la cultura: la nostra curiosità!

Attraverso recensioni ed interviste cercherò di farvi conoscere i gruppi italiani più legati al panorama underground e indie, sperando di farvi dimenticare per qualche secondo delle solite facce note che circolano sui giornali. Ma soprattutto per dare alla musica indie italiana l’attenzione che merita.
Vado a stanare chi ancora si nasconde, vuoi unirti alla ricerca?

Sadside Project

Nome: Sadside Project
Città: Roma
Genere: Garage/Indie/Folk
File under: Mumford & Sons, Pearl Jam, The White Stripes
Sito web: http://sadsideproject.bandcamp.com/

Parliamo dei Sadside Project, Gianluca Danaro e Domenico Migliaccio, due ragazzi romani che dal 2009 si muovono nel panorama indie e underground della musica italiana. Con l’appoggio di Bomba Dischi e di nomi illustri come Roberta Sammarelli (Verdena) e Adriano Viterbini (Bud Spencer Blues Explosion), nel febbraio 2013 hanno fatto uscire il loro album Winter Whales War. Un lavoro ben curato, caleidoscopico, in un parola: camaleontico.

Un disco dagli aspetti chiaramente mutevoli, dieci tracce che vivono di vita propria, che ci trasportano in atmosfere difficilmente limitabili in una sola identità. AEcco la parola chiave per interpretare il disco: Identità, è difficile capire quale sia il reale aspetto dei Sadside Project, che saltano letteralmente tra i generi creando le più svariate suggestioni.

L’album si apre con The Same Old Story  che paradossalmente è la traccia più lontana dalle altre dal punto di vista stilistico. Vi si rintracciano lievi sfumature punk/rock anni ’90 che accompagnano una voce incisiva, mentre invece stupisce poco l’arrangiamento che risulta un po’ scontato, anche se il pezzo in generale trasmette una buona potenza di suono. Resta comunque un pezzo che non identifica appieno il gruppo e come traccia d’apertura tende a spiazzare l’ascoltatore. A seguire arriva la vera natura folk dei Sadside, con tre tracce che sembrano arrivare direttamente dal 1960 (o 1959 come sottolinea il titolo della traccia numero 3 ). Molto azzeccata la scelta di suono che tende a ricreare le atmosfere country/blues del secondo dopoguerra americano.

Ma il cambiamento non tarda a farsi sentire: con Edward Teach Also Known as Blackbeard si passa alla spinta indie, in un brano che trasmette una potente carica ritmica sostenuta da un suono di chitarra molto essenziale ma aggressivo. Si tratta di una canzone che trasmette spensieratezza e coinvolgimento emotivo, sicuramente uno dei brani più interessanti dell’album a livello compositivo. Ma la traccia che rappresenta di più l’aspetto camaleontico del disco è senza dubbio Hold Fast. In 3:32 minuti si fondono il blues, il rock, il beat ed il folk, in un esperimento sicuramente ambizioso ma ben calibrato e veramente interessante. Si coglie chiaramente l’attenzione posta nell’arrangiamento e nella costruzione ritmica del pezzo, soprattutto nei call and response tra chitarra e voce. Degne di nota sono anche le tracce che chiudono l’album, la cover dei Beach Boys Sloop John B e la title-track, che si ispira ai componimenti poetici di Walt Whitman.

Questo lavoro dei Sadside Project merita di essere ascoltato. Siamo di fronte ad un disco che riesce a toccare molte corde stilistiche e che sicuramente può incuriosire anche i più scettici. Ma terminato l'ascolto ci si chiede chi siano in realtà questi ragazzi: forse quello che manca è un po' di omogeneità nei contenuti, e questo rende difficile definire una chiara identità del gruppo. La loro versatilità può sicuramente funzionare come elemento di interesse per diversi tipi di ascoltatore, ma rischia di farli passare inosservati se non si dedica loro la dovuta attenzione. E in questo caso sarebbe veramente un peccato…