Broken Bells – After the Disco (Recensione)

Broken Bells – After the Disco (Recensione)

2017-11-08T17:15:47+00:0013 Marzo 2014|


Broken Bells After the Disco cover
James Mercer degli Shins e Danger Mouse tornano con un disco piu' maturo e introspettivo, che pero' non riesce ad appassionare e affonda in una certa inconsistenza.

6/10


Uscita: 4 febbraio 2014
Columbia Records
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La storia vuole che questo album abbia preso vita circa un anno e mezzo fa, mentre James Mercer degli Shins suonava una semplice melodia alla chitarra poco prima di salire su una macchina ferma ad aspettarlo per portarlo in aeroporto. Improvvisamente l'illuminazione: 'Wait a minute, that's a thing!' Guai, di fronte c'è Brian Burton, ovvero Danger Mouse. Parlare di casualità in questo caso sembrerebbe una "presa per i fondelli", qui è il genio artistico, il plus intuitivo che diventa illuminante quando lavori con uno dei più grandi produttori discografici degli ultimi 10 anni (Gorillaz, Gnarls Barkley, Norah Jones, Beck, The Black Keys, U2 solo per citarne alcuni), considerato uno dei settantacinque personaggi più influenti del ventunesimo secolo dalla rivista statunitense Esquire.

Per i due Broken Bells si tratta dell'occasione di uscire da una situazione di stallo, dal momento che entrambi hanno vissuto momenti di certo migliori nelle loro carriere: il produttore di White Plains da qualche tempo non è più sulla bocca di tutti come qualche anno fa, mentre il secondo è invece alle prese con le magagne interne degli "indie kings" di Portland, sempre meno band e sempre più progetto solista di successo, ma alla lunga ripetitivo.

Nasce in questa prospettiva, After The Disco, secondo LP ancora una volta registrato interamente in California e di nuovo sotto Columbia Records, come a rincorrere il successo dell'album d'esordio di quattro anni fa, sicuramente non semplice da emulare: 400,000 copie vendute negli USA, #7 nella Billboard 200, #1 su iTunes e il primo tour sold-out, senza dimenticare la nomina ai Grammy Awards 2011 nella categoria Best Alternative Music Album.

L'incipit del disco è un crescendo di percussioni elettroniche in un simil-jingle synthpop anni '80 (Perfect World); segue After The Disco, traccia funky-disco vagamente daftpunkiana, con tanto di ritornello pop in cui Mercer non si capacita di non essere corrisposto dalla musa di turno: "How did I get in this winding maze of love?". Atmosfere robotiche e spaziali fanno capolino in tutta la tracklist e si fanno più alienanti in Holding On For Life, il primo singolo uscito a novembre con tanto di cortometraggio diretto da Jacob Gentry. Synth densi e in qualche modo goffamente spettrali accompagnano il ritornello "You're holding on for life, holding on for life, love holding on for love": è un colpo al cuore, ci si aspetta quasi di vedere uscire Barry Gibb dalle casse.

Da qui si passa al pop-soul acustico di Leave It Alone, sconsolata ballata fluttuante in cui i cori e l'ensemble strumentale della Angel City String Orchestra, accompagnano una melodia costruita e abbellita dalle già citate abilità di Brian Burton. Il mood groove-disco anni '70 implicato dal titolo dell'album si fa però pallido e inconsistente in tracce come The Chasing Light, Medicine e Control, dove è apprezzabile solo la messa in scena dei fiati nel finale.

Ci si rifà poi con Lazy Wonderland, candido pezzo acustico che ha l'aria di essere una trasposizione beatlesiana futuristica: linee vocali soffici e sorridenti, per una canzone da evitare dopo un camogli, ma perfetta per una "fuga" mielosa ("The trip is on but we can find a way / (Tonight we'll go) Laughing all the way, my love"). La parabola torna però discendente con No Matter What You're Told e The Angel and the Fool, nelle quali pop nauseante e inconsistenza la fanno da padrone, mentre salva la dignità The Remains Of Rock'n'Roll, con un discreto finale tra uno scarno assolo di chitarra e l'accompagnamento orchestrale e dei cori.

Melodie futuristiche (ma non troppo) e sperimentazioni elettroniche a parte, insieme all'incredibile voce di Mercer e al tatto di Burton, che rimangono i punti di forza della band, l'album sembra evidenziare la presa di coscienza del proprio percorso: la ricerca dell'amore e del piacere può frenare bruscamente ma bisogna farsene una ragione, può essere lo stesso un "mondo perfetto". Una visione matura e se vogliamo un po' invecchiata per questo ritorno dei Broken Bells: quello che ne risulta nel complesso è un disco di "assestamento" e di introspezione, che, usando un anglicismo, non va oltre il termine "cool".

Dopo il grande successo del debutto ci si aspettava la luna dalla strana coppia Burton-Mercer, per questa volta le uniche cose a sbocciare saranno qualche critica in più. Ma ripasseranno, su con la vita.