The Pains of Being Pure at Heart – Days of Abandon (Recensione)

The Pains of Being Pure at Heart – Days of Abandon (Recensione)

2017-11-08T17:15:45+00:0027 Dicembre 2014|


The Pains of Being Pure at Heart - Days of Abandon
Kip Berman e compagni lasciano da parte le ambizioni alternative rock di Belong per focalizzarsi su quello che sanno fare meglio: una delicata raccolta di semplici canzoni.

7,5/10


Uscita: 13 maggio 2014
Fierce Panda / Yebo Records
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''Se c'é un tema di fondo in quest'album, io non so quale sia'' – ha dichiarato onestamente Kip Berman, frontman dei Pains Of Being Pure At Heart durante una recente intervista – ''siamo andati nello studio di un amico ed abbiamo scritto un po' di canzoni, abbiamo scelto le migliori, scartando le peggiori, speriamo di aver infine registrato un buon album''. Ecco dunque la semplice genesi di Days Of Abandon, il nuovo lavoro della band indie pop newyorchese dal nome interminabile: nessun viaggio introspettivo esagerato, nessun cervellotico concept, nessun (alle volte) forzato bisogno di stravolgimenti stilistici, ma solo la volontà di scrivere una serie di bei brani. Una naturalezza e una tranquillità che, nel caso portino anche a buoni risultati, non si possono che ammirare.

E ammirevole è indubbiamente anche quest'ultimo disco, che già dall'artwork della copertina, un sofisticato disegno dai tratti soffici e colori eterei dell'artista sud-coreana Lee Jinju, dà immediatamente prova del suo delicato ma irresistibile potere di seduzione. A tre anni da Belong (2011), il sound dei Pains non ha subito radicali cambiamenti e lo scopo ultimo di questa band rimane sempre lo stesso: emozionare l'ascoltatore con dolci e a tratti malinconiche melodie. Se in passato si sono sprecate analogie con band storiche come Smashing Pumpkins e My Bloody Valentine, il cui eco dilatato è certamente udibile nei precedenti lavori ed in particolare nella sublime Strange, uno dei gioielli dello scorso LP, questa volta ho l'impressione che la band tenda piuttosto a discostarsi dai soliti canoni, cristallizzando le proprie sonorità in modo deciso e personale. La melodia è ora costantemente in primissimo piano e quando si trova senza alcun velo di distorsione o feedback a rivestirla è più nuda, pura e sincera che mai.

Nonostante questa predilezione per l'ambito melodico, ci sono comunque momenti in cui le chitarre in overdrive tornano orgogliosamente a galla: ecco allora Beautiful You, Eurydice e Until The Sun Explodes, queste ultime due palesemente le tracce più dirette dell'album, senza dubbio ottimi cavalli di battaglia per trasmettere la necessaria carica durante le esibizioni dal vivo. Tuttavia, senza nulla togliere a questi brani, devo però ammettere che a mio parere, almeno questa volta, sono altri i pezzi che raggiungono l'eccellenza. Parlo in special modo dei momenti più strettamente intimistici e quieti del disco, quando nonostante chitarre e percussioni si calmino, l'intensità emozionale non fa che aumentare. Piacevolmente sconcertante è la delicatezza del pezzo inaugurale Art Smock, una lezione di essenzialità in cui Berman e la cantante degli A Sunny Day In Glasgow Jen Goma (ora sostituita da Jessica Weiss dei Fear Of Men per il tour) duettano tra accordi acustici e carezze tastieristiche. Un breve frangente di personalissima catarsi replicato anche durante i live: in occasione di questo brano infatti la band di solito lascia sul palco i due per un solitario e antico cabaret di gran classe.

Un altro momento incantevole arriva con Coral And Gold, che sembra voler venire a compromessi tra calma ed euforia alternando una minimale strofa subacquea di chitarra arpeggiata ad un ritornello più corale e grandioso. Da brividi è anche la penultima Life After Life, in cui Berman si fa di nuovo da parte lasciando che sia la voce di Jen a danzare in un candido tripudio di armonia; inoltre in questo pezzo e nel finale The Asp In My Chest fanno capolino anche eleganti fiati di sottofondo che si integrano organicamente nel sound, una piacevolissima ed indovinata novità per una band che sembra sempre più esperta e sicura delle proprie potenzialità.

Days Of Abandon, come i precedenti lavori dei Pains, non sarà di certo una rivelazione per la storia della musica, né probabilmente un momento di particolare evoluzione del genere indie-rock, ma in fondo non credo che sia questo lo scopo di Berman e del cast di musicisti che di volta in volta lo accompagna. I Pains Of Being Pure At Heart vogliono probabilmente solo diventare sempre più loro stessi, senza bisogno di imitare più nessuno e dando il meglio di ciò che possono dare. Con soli tre dischi all'attivo questo gruppo ha già creato un rilevante corpus di pregevolissimo rock alternativo, e visto che la loro rigogliosa creatività non accenna a voler appassire, penso che potremo continuare ad aspettarci grandi cose anche dalle loro future avventure.